ANDREA PALLADIO: IL GENIO DELLA SERENISSIMA

Perspective of the famous Villa La Rotonda by the architect of the Renaissance Palladium, 1566

di Enrico Andreoli

 

PADOVA / MASER (TV) 14 Dicembre 2023

«C’è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella sua fittizia esistenza».

Così si espresse l’autore delle “Affinità elettive” Johann Wolfgang von Goethe durante la sua permanenza a Vicenza, su uno degli architetti più influenti della storia occidentale, capace di concepire opere di una bellezza e simmetria a dir poco portentose ed allietanti, i cui riverberi ancora oggi stupiscono gli occhi dei visitatori di ogni latitudine.

Stiamo parlando di Andrea Palladio.

All’anagrafe Andrea di Pietro della Gondola nacque a Padova il 30 novembre 1508, sotto la Repubblica di Venezia, da una famiglia di umili origini. Il padre Pietro, detto “della Gondola” era mugnaio e la madre Marta era una donna di casa.

Fin dall’età di 13 anni Andrea iniziò l’apprendistato di scalpellino nella città di Antenore – fino al 1523 quando con la famiglia si trasferì a Vicenza, dove proseguì l’attività in diverse botteghe di costruttori e scultori.

Tra il 1535 e il 1538 avvenne l’incontro decisivo con il conte vicentino Giangiorgio Trissino dal Vello d’Oro durante il lavoro nel cantiere della villa suburbana di Cricoli.

Il conte berico, poeta ed umanista, decise di prenderlo sotto la propria protezione, indirizzandolo nella formazione culturale e nello studio della cultura classica, conducendolo più volte a Roma da dove il primo trovò ispirazione per la realizzazione delle sue iniziali opere più significative, come la villa di Gerolamo Godi (1537) a Lonedo di Lugo di Vicenza.

Sarà il conte Trissino a conferirgli lo pseudonimo di “Palladio”.

Nel 1534 Andrea sposò Allegradonna, da cui ebbe cinque figli: Leonida (morto in circostanze mai chiarite nel 1572, probabilmente ucciso per vendetta da parte dei famigliari di un uomo che Leonida uccise a pugnalate durante una rissa), Marcantonio, Orazio, Zenobia e Silla. Forse nel 1550 gli nacque un sesto figlio. Marcantonio, iscritto alla fraglia dei lapicidi come “maestro” nel 1555, lavorò col padre fino al 1560, quando si trasferì a Venezia per entrare nella bottega dello scultore Alessandro Vittoria; rientrato a Vicenza alla fine degli anni ottanta, non viene nominato in documenti posteriori al 1600. Orazio si laureò in giurisprudenza all’Università di Padova (1569); coinvolto in processi per eresia davanti al Sant’Uffizio, morì nel 1572, pochi mesi dopo il fratello Leonida: “con mio gravissimo e acerbissimo dolore la morte nello spatio di due mesi e mezzo, d’essi ambedue privo e sconsolato mi lasciò“, scrive Palladio nel proemio dell’edizione illustrata dei Commentari di Giulio Cesare (1575). L’unica figlia femmina, Zenobia, andò sposa nel 1564 all’orafo Giambattista Della Fede e dal matrimonio nacquero almeno due figli. Silla, il figlio più giovane di Andrea Palladio, studiò lettere a Padova senza laurearsi e dopo la scomparsa del padre seguì i lavori del padre.

Dopo alcune note biografiche, torniamo a quelle artistiche.

Il mecenate di Andrea, Trissino (architetto per diletto) nella ristrutturazione della sopramenzionata villa aveva deciso di rompere con la tradizione “raffaelliana” – con una loggia a doppie arcate posta tra due torrette una delle quali preesistente: la torre a lato di un corpo composto da un portico con loggia al piano superiore è uno schema tipico dell’architettura vicentina quattrocentesca –  e di optare per una soluzione più “umanistica e neoplatonica”, vale a dire componendo gli spazi interni seguendo uno schema rigorosamente proporzionale e simmetrico: le stanze laterali sono legate tra loro da un sistema di proporzioni interrelate 1:1; 2:3; 1:2. Venne così anticipato quel modello palladiano che sarebbe divenuto celebre in tutto il mondo.

In seguito Palladio entrò a contatto con l’aristocrazia vicentina, dove l’artista più noto era al tempo il cesellatore Valerio Belli, iniziando un periodo di proficuità rilevantissima, prima fra tutte la Basilica Palladiana che segna la piazza principale di Vicenza, villa Almerico Capra detta “La Rotonda” a pochi chilometri dalla città – l’edificio palladiano forse più noto – ed infine lo splendido Teatro Olimpico, primo esempio di teatro stabile coperto realizzato in epoca moderna nel mondo occidentale e ancor oggi capolavoro ineguagliato.

Successivamente iniziò la collaborazione del Palladio con Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, che stava traducendo dal latino e commentando il De architectura di Vitruvio, disegnandone le illustrazioni. Profondo studioso d’architettura antica, Barbaro divenne mentore di Palladio dopo la morte di Trissino nel 1550 e nel 1554 si recarono insieme a Roma, accompagnati anche da Giovanni Battista Maganza e Marco Thiene, per preparare la prima edizione e traduzione critica del trattato di Vitruvio, poi stampata a Venezia nel 1556. Grazie all’influenza di Barbaro, Palladio iniziò a lavorare a Venezia, preminentemente nell’architettura religiosa. Nel 1570 subentrò a Jacopo Sansovino come Proto della Serenissima (architetto capo della Repubblica Veneta). Nello stesso anno pubblicò a Venezia “I quattro libri dell’architettura”, il trattato a cui aveva lavorato fin da giovane e in cui è illustrata la maggior parte delle sue opere. I Quattro libri furono il più importante di numerosi testi che Palladio pubblicò nella seconda parte della sua vita, corredandoli delle proprie illustrazioni. Nel 1574 poi diede alle stampe i Commentari di Cesare.

Palladio affronta il tema del rapporto tra civiltà e natura optando per un profondo senso naturale della civiltà, nel senso che la suprema civiltà si ottiene con il raggiungimento di un perfetto accordo con la natura senza rinunciare alla coscienza della storia, la quale è la sostanza stessa della civiltà.

Come detto “I quattro libri dell’architettura” palladiani definirono i canoni classici degli ordini architettonici, la progettazione di ville patrizie, di palazzi pubblici e di ponti in legno o muratura.

Si tratta del più celebre fra tutti i trattati di architettura rinascimentale che anticipò lo stile dell’architettura neoclassica. I disegni, gli aspetti stilistici e le proporzioni formali contenute in questo trattato influenzarono in modo determinante tutta la produzione architettonica successiva, dall’illuminismo all’Ottocento, fino alla nascita del Movimento Moderno nel Novecento, sviluppando le teorie vitruviane.

Secondo Palladio le dimensioni di un edificio pubblico o di una villa, dei suoi elementi costruttivi (archi, travi, colonne) e dei suoi elementi stilistici (capitelli, fregi, balaustre, decorazioni) potevano essere ricavati in proporzione dalle tavole del trattato. Nei Quattro libri Palladio indica di far riferimento al diametro della colonna di un edificio come unità di misura di riferimento (detta modulo) per proporzionare tutti gli altri elementi costruttivi e stilistici della costruzione. Ad esempio lo spessore di una trave di ordine tuscanico poteva essere dimensionato come i 3/4 del diametro della colonna, l’altezza della colonna come 7 volte il suo diametro e la lunghezza della trave come 5 volte il diametro della colonna. Questo modo di presentare gli aspetti formali ed estetici degli elementi architettonici, impostati con canoni formali ben precisi, in rapporto anche con teorie e studi di altri trattatisti del passato ed intellettuali coevi, fu denominata “teoria delle proporzioni” ed ebbe ampi sviluppi sia nei trattatisti dell’architettura rinascimentale, sia in quella neoclassica e di altre epoche.

Il trattato di Palladio è stato fino ad oggi un modello classico insuperato per comporre un edificio con precise regole formali e proporzionali. Queste proporzioni permettono di attribuire alle architetture classiche un carattere monumentale maestoso e allo stesso tempo organico ed integrato con gli altri aspetti stilistici delle decorazioni pittoriche e scultoree.

Per comprendere meglio la grande eredità lasciata dal grande architetto veneto non si può non disaminare nel dettaglio alcune delle sue più importanti opere.

Certamente una tra le più note è Villa Almerico–Capra, detta La Rotonda: la pianta è quadrata con ripartizione simmetrica degli ambienti, raggruppati intorno ad un salone circolare ricoperto da una cupola. In ognuna delle quattro facciate si trova un classico pronao con colonne ioniche e timpano a dentelli. Pensata come luogo di intrattenimento, su modello romano, non come centro produttivo come altre ville palladiane, in cui la cupola centrale (11 metri di luce), che nel progetto di Palladio doveva essere emisferica, fu realizzata postuma su modello differente, rievocando le linee di quella del Pantheon romano.

Nella progettazione del nuovo loggiato del Palazzo della Ragione di Vicenza, crollato nel 1499, la attuale Basilica Palladiana, l’architetto padovano, basandosi sulle descrizioni fornite da Vitruvio (in particolare una basilica a Fano), riuscì a commistionare stili ed esperienze diverse attraverso l’incastonamento del pesante parallelepipedo dell’antico palazzo (sede delle principali magistrature cittadine) in un’armatura raffinata e adatta al ruolo di fulcro cittadino, con annesso raddoppiamento delle colonne – doriche nel primo ordine e ioniche nel secondo – ed aumento della fusione tra interno ed esterno.

Palladio con quest’opera raccoglieva i frutti del consenso che si era guadagnato con la progettazione delle dimore cittadine e rurali delle più importanti famiglie dell’aristrocrazia vicentina (Thiene, Chiericati, Valmarana, Trissino, Godi e Piovene), venendo considerato un vero intellettuale capace grazie alla conoscenza della matematica, geometria e all’antichità di confrontarsi con gli umanisti dediti alle arti liberali, venendo così ammesso ai loro circoli (testimonianza ne fu la sua carica di socio fondatore della Accademia Olimpica).

Tra le altre opere si possono citare Villa Contarini (Piazzola sul Brenta), il Ponte di Bassano del Grappa dopo che il 30 ottobre 1567 una piena di straordinaria violenza del Brenta lo aveva travolto – decidendo di rinforzare le sponde con travi di rovere e larice, dividendo il ponte in cinque parti uguali ed impostando nel fiume quattro ordini di pali, ciascuno dei quali di otto travi -, e Villa Barbaro (Maser).

Menzioni a parte meritano due opere.

La prima è Villa Foscari, detta La Malcontenta, a Gambarare di Mira (Venezia) rappresenta una novità assoluta nel panorama artistico veneto della metà del Cinquecento.

Il soprannome deriva dal nome della località di Mira in cui – come vuole la tradizione – venne relegata nel Trecento una nobildonna di casa Foscari in quanto scontasse in solitudine i peccati di una vita dissoluta. Su questi terreni i fratelli Nicolò ed Alvise Foscari commissionarono a Palladio una residenza extra-urbana, raggiungibile rapidamente in barca dal centro di Venezia. La famiglia dei committenti è una delle più potenti della città, tanto che la residenza ha un carattere maestoso, sconosciuto a tutte le altre ville palladiane.

La facciata rivolta a mezzogiorno, trapunta da finestre differenti di forme e dimensioni, accostate o distanziate con disinvoltura con la ricerca della massima quantità di luce alla sala crociata, alle stanze laterali, alle scale, ai mezzanini ed al sottotetto. La loggia ionica esastila risiede sopra uno zoccolo di eccezionale altezza, perché soltanto a quel livello sarebbe stata vista da chi fosse passato in barca per il Brenta. La villa (tutta in mattoni, colonne comprese) sorge su un altro basamento, che separa il piano nobile dal suolo umido e conferisce magnificenza all’edificio, sollevato su un podio come un tempio antico. Qui convivono motivi derivanti dalla tradizione edilizia della Serenissima e dalla architettura antica: come a Venezia la facciata principale è rivolta verso l’acqua, ma il pronao e le grandi scalinate hanno a modello il tempietto alle foci del Clitumno, in Umbria.

La facciata posteriore presenta un sistema di forature che rende leggibile la disposizione interna come la parete della grande sala centrale voltata resa pressochè trasparente dalla finestra termale sovrapposta a una trifora. In quest’ultima vi è un chiaro riferimento al prospetto di Villa Madama di Raffaello, al cui debito di conoscenza Palladio non fece mai riferimento.

La seconda è la nota Chiesa del Redentore a Venezia.

È l’estate del 1577 quando a Venezia scoppia una terribile epidemia di peste che in 2 anni provocherà 50.000 morti (quasi un veneziano su tre). Il Senato chiede l’aiuto divino facendo voto di realizzare una nuova chiesa intitolata al Redentore. Il miracolo avviene e dal 20 luglio successivo si festeggia la fine della peste con una processione che raggiunge la chiesa attraverso un ponte di barche, dando inizio a una tradizione che dura ancora oggi. Nella “notte del Redentore”, la quale cade tradizionalmente la terza domenica di luglio e denominata anche la “notte famosissima”, una grande folla di barche illuminate e addobbate in tutti i modi riempie l’intero Bacino di San Marco e la parte alta del canale della Giudecca fra canti, suoni e cene nell’attesa dei fuochi d’artificio. Tradizione vuole, poi, che alla fine dello spettacolo, il ‘popolo delle barche’ si sposti al Lido per vedere dalla spiaggia il sorgere del sole.

Il 7 maggio 1577 viene posta la prima pietra del progetto palladiano e verrà terminato quindici anni dopo, venendo consacrato dal patriarca Priuli il 27 settembre del 1592.

La Chiesa è destinata ai Padri Cappuccini, i quali optano per mattoni e cotto e la realizzazione di capitelli interni.

Palladio dimostra di aver riflettuto a fondo sulle strutture termali antiche – esempio le terme di Agrippa – per dare vita alle sequenze di spazi che si susseguono armonicamente una dopo l’altra: il rettangolo della navata, le cappelle laterali che riprendono la forma a nartece, la cella tricora composta dalle due absidi e dal filtro di colonne curve ed il coro. I quindici scalini della scalinata evocano il Tempio di Salomone, l’ampio timpano sormontato dall’antico rinvia al pantheon romano, mentre la maestosa cupola affiancata da due campanili, simili a minareti, ricorda il Santo Sepolcro (in questo modo lo Stato veneziano, proclamandosi come Roma e Gerusalemme, celebra sé stesso come campione della fede e baluardo della cristianità).

Il disegno del prospetto si basa sui rapporti tra elementi corinzi e compositi, richiamando i temi architettonici dell’interno ed il tutto è frutto di una particolare sensibilità scenografica, il che si può carpire dalla facciata della Chiesa che rappresenta l’esito più maturo del Palladio delle riflessioni sui fronti di chiesa a ordini intersecati, laddove monta più soluzioni antiche, come il Tempio della Pace o il Tempio del Sole o della Luna.

L’interno è diviso in tre spazi distinti. Un’unica navata – affiancata da sei cappelle laterali intercomunicanti – che oltre ad accogliere l’annuale processione del Redentore, consente a tutti i fedeli una visione diretta dell’altare maggiore, secondo i dettami del Concilio di Trento. Il secondo spazio prevede il presbiterio decorato da un pavimento in marmi policromi, mentre il terzo comprende il coro e le due sagrestie. Se osservata in pianta, la loro forma ripropone quella della lettera greca “tau”, cara alla devozione francescana e nota a Venezia e nella cristianità come prefigurazione della croce e simbolo di guarigione e vita eterna.

Non si può infine poi non menzionare il Teatro Olimpico di Vicenza, ultima opera dell’artista: la ripida cavea si sviluppa direttamente dall’orchestra per culminare nel solenne colonnato trabeato. Il palcoscenico appena rialzato è definito da un fondale architettonico fisso da cui partono cinque strade illusionisticamente lunghissime (opera di Vincenzo Scamozzi, che completò il teatro alla morte del maestro). L’architettura ed i motivi del teatro classico romano storicamente all’aperto, vengono portati all’interno di uno spazio chiuso ma al contempo aperto dalle profonde prospettive al di là dei grandi portali, in un concetto modernissimo di dinamismo spaziale, determinando una felice sintesi con la concezione vitruviana.

L’architettura del Palladio venne quasi totalmente confinata nel Veneto, ma in realtà poi divenne presto famosa e studiata in tutta Europa e da qui negli altri paesi di tradizione anglosassone, dando vita a un fenomeno culturale noto come “palladianesimo”, diffuso in particolare nel Regno Unito, in Irlanda, negli Stati Uniti, come pure in Russia. In Inghilterra tra i primi ad ispirarsi al suo stile furono Inigo Jones e Christopher Wren; un altro suo ammiratore fu l’architetto Richard Boyle, più noto come Lord Burlington, che – con William Kent – progettò la Chiswick House.

L’enorme fortuna del pensiero e dell’opera del Palladio crebbero enormemente nel Settecento quando i filosofi dell’Illuminismo sostennero il fondamento naturale della civiltà umana.

Ed è proprio per questi motivi che Palladio giunse altresì Oltreoceano.

Difatti numerosi edifici costruiti nei neonati USA sono neopalladiani, a cominciare dalla Casa Bianca, la residenza del presidente degli Stati Uniti, ed il Campidoglio a Washington, passando poi per la residenza di Monticello in Virginia (progettata per sé da Thomas Jefferson) per giungere alle Redwood Library e Marble House di Newport (Rhode Island), Università della Virginia a Charlottesville e la piantagione Woodlawn ad Assumption (Lousiana).

Con la risoluzione n. 259 del 6 dicembre 2010 il Congresso degli Stati Uniti d’America ha riconosciuto Palladio come “padre dell’architettura americana”.

Ciò fu possibile anche grazie all’opera di Ottavio Bertotti Scamozzi (1719-1790) che eseguì il rilievo quotato di tutte le opere di Andrea Palladio. Ogni edificio fu rappresentato in pianta, prospetto e sezione attraverso tavole nitidissime. L’unità di misura utilizzata fu il piede vicentino pari a m. 0,356. Queste tavole rappresentano da sempre una utile guida per quanti intendono progettare un edificio in stile palladiano.

Palladio morì nel 1580 a 72 anni, se non povero, godendo di una condizione economica assai modesta. Le circostanze della sua morte rimangono sconosciute: non è nota né la causa, né il giorno preciso (nell’agosto del 1580, intorno al 19), né il luogo, che comunque la tradizione identifica con Maser, dove forse stava lavorando al tempietto di villa Barbaro, ma c’è chi sostiene possa essere morto a Venezia. I funerali furono celebrati senza clamore a Vicenza, dove l’architetto – grazie all’intercessione della famiglia Valmarana – fu sepolto presso la chiesa di Santa Corona.

La città di Vicenza e le ville palladiane oggi sono patrimonio UNESCO.

Non solo architetto, ma anche teorico dell’architettura e scenografo del Rinascimento cittadino della Repubblica di Venezia, ideatore di ville, chiese e palazzi ancora oggi inimitabili, il cui stile diede vita ad un movimento che durò tre secoli, il “palladianesimo”, richiamante i principi dell’antichità classica.

Dall’Europa al Nuovo Mondo e oltre.

Ecco cosa fu – ed è – Andrea Palladio.

Il Genio della Serenissima.

 

Cit. AA.VV, Andrea Palladio: itinerari palladiani tra ville e palazzi, Editoriale Programma, Padova, 2008.

image_pdfimage_print